Personalità eclettica ed irripetibile per la molteplicità di esperienze delle quali si rese protagonista nel corso di un’intera vita, Gabriele d’Annunzio resta uno dei fenomeni letterari tra i più significativi della storia italiana.
Soprannominato “Il Vate” a causa dell’enorme influenza che seppe esercitare grazie alla sua forte personalità, viene ricordato non solo come interprete d’eccellenza nel nostro panorama culturale, ma anche per il peso politico delle sue imprese militari.
Se spostiamo l’attenzione dal “personaggio” alla sua grafia rintracciamo delle peculiarità che appaiono decisamente consonanti con ciò che la storia narra di lui, sia per quanto attiene la sfera privata che per quella pubblica.
La lettera dedicata a Giuseppina Mancini, una fra le sue numerose compagne/amanti, arriva con imponenza allo sguardo di chi la osserva. Lo spazio dei due fogli è riempito con sicurezza mediante un tracciato di dimensioni significative, ricco di originalità e piuttosto angoloso. Questi elementi rimandano ad un temperamento estroverso e socievole, ad anticonformismo, esuberanza ed esibizionismo supportati tuttavia da una spontaneità dello scrivente che si rapporta con gli altri in maniera schietta, ma non priva di contrasti (angoli degli ovali e nei collegamenti interlettera).
Acuto e selettivo nel pensiero, a tratti pomposo e ridondante (grafia estetica con presenza di alcuni orpelli), D’Annunzio esprime un’energia che trascina positivamente, ma allo stesso tempo travolge chi non possiede l’abilità di arginarla poiché il suo pensiero è imperativo (assi letterali prevalentemente dritti). I numerosi collegamenti destrorsi fra le lettere, l’incisività del tratto ed il margine destro “straripante” definiscono un carattere sfidante, che non teme i pericoli e l’ignoto anzi gli va incontro, preso in un turbine di euforia tipico di chi necessita di vivere costantemente sotto i riflettori.
La grafia si presenta nel complesso “solida”, materica, concreta senza eccessivi sviluppi nella zona superiore (assenti asole delle “l” ad es. che, quando ampie, suggeriscono fantasia). La zona centrale è quella prevalente ed è collegata all’io.
Il “Vate” traspone la sua già citata arditezza e spavalderia (tagli delle “t” alti e lanciati verso destra) anche nella sfera affettiva: egli è alla strenua ricerca di conferme per il suo ego attraverso la quantità: le relazioni che intesse numerose sono funzionali alla gratificazione fine a se stessa nel sentirsi vezzeggiato ed al centro dell’attenzione. Insomma, è sempre innamorato, ma mai in grado di investire nell’amore con pienezza e lealtà. La presenza di ganci e “lacci” sparsi in diversi punti del testo evidenziano la sua modalità ammiccante e respingente ad un tempo (angolosità).
D’Annunzio diventa quindi, emblema di un carpe diem spinto fino agli eccessi ma che non lascia nulla di intentato.