Immancabile pipa in bocca e sguardo sornione, il volto di Georges Simenon, scrittore di origine belga fra i più prolifici dello scorso secolo, viene associato istantaneamente alle vicende del noto commissario Maigret. Non gli si renderebbe giustizia tuttavia se lo si valutasse soltanto come autore di gialli.
Simenon, infatti, produsse un numero pressoché incommensurabile di opere che includono romanzi, racconti, libri di memorie oltre ad articoli su svariate riviste e reportages di viaggi. Insomma, fu un instancabile acrobata della penna!
La sua grafia e quindi la persona di Georges, saranno dunque “all’altezza” di ciò che Simenon ha fatto trapelare di se stesso attraverso il filtro della sua narrativa?
L’osservazione di alcuni esemplari di suoi manoscritti, tutti autografati in calce e risalenti ad anni differenti, mostrano aderenza ad un modello calligrafico che prevede l’inclinazione del testo verso destra, in voga soprattutto nei primi decenni del ‘900. A ciò si aggiunga una occupazione del foglio piuttosto ordinata, ma decisamente non “timida”.
Se è vero che lo spazio grafico rappresenta l’ambiente di vita, il nostro scrittore si muove al suo interno con una certa disinvoltura: le dimensioni della grafia (desumibili dalla grandezza media delle lettere ad ovale) tendono al piccolo e questo dato suggerisce riservatezza, capacità di concentrazione del pensiero, inclinazione ad intrattenere un dialogo serrato con il proprio “io” più che manifestarsi verso l’esterno con modi esuberanti. Cionondimeno, non assistiamo ad una castrazione della propria autoaffermazione nel mondo, tra i suoi simili, anzi. Il movimento verso il vettore destro, già prima segnalato, la continuità del tracciato (collegamenti interletterali prevalenti rispetto agli stacchi), i prolungamenti superiori ed inferiori ben presenti, sono tutti elementi che convergono in direzione di una concreta apertura e disponibilità verso il prossimo dettata da un forte impulso all’esplorazione.
Il tracciato è di difficile leggibilità poiché molto personalizzato sia nei profili delle singole lettere sia nei collegamenti tra esse, ma resta spontaneo e spigliato nel suo svolgersi, e mantiene un’attenzione estetica che non scade mai nella rigida affettazione. Sembra di trovarsi di fronte ad un quadro in cui, dietro una regolarità pacificante per chi guarda, si celano universi misteriosi racchiusi proprio nelle pieghe di innumerevoli dettagli che tradiscono una curiosità insaziabile che si autoalimenta attraverso stimoli sempre nuovi. E dove rintracciare sollecitazioni così ricche se non osservando gli uomini ed il loro agire? Partendo dall’analisi su di sé, Georges Simenon si fa portavoce di tutti quei sottili meccanismi psicologici che muovono gli ingranaggi delle vicende dell’umanità.
La sua impronta grafica così priva di orpelli, ma anche oscura, sfuggente, ambigua crea un profilo con connotazioni estremamente originali che non fornisce né una chiave di lettura lineare né tantomeno un’unica chiave di lettura perché la rapidità del suo pensiero si porta dietro l’imprevedibilità e, quest’ultima, apre un ventaglio di possibilità ed interpretazioni.
All’interno di una struttura rigorosa e disciplinata (ritmo cadenzato, assi letterali paralleli, perentorietà di alcuni accessori come ad es. i tagli delle “t”) che contiene le spinte istintuali, decidendo come e quando interromperle senza per questo reprimerle (allunghi inferiori tangenti alcune lettere del rigo sottostante), si inserisce una personalità brillante in cui il desiderio di fuga e la digressione dalla routine non hanno meno valore della severità dell’applicazione.
Georges Simenon incarna l’anelito alla fusione tra ragione e sentimento, sfiorandone il confine, ma mai risolvendone l’enigma. Ricerca una semplificazione, ma con la coscienza sempre lucida che la storia di ogni uomo, incluso lui, pretende comprensione e non giudizio.